Capodarco – Albania, professionisti a confronto: scambio intenso per una riabilitazione “comunitaria”

CAPODARCO DI FERMO – A Tirana (Albania), esiste dal 1996 un centro socio educativo avviato dalla comunità di Capodarco grazie agli interventi in campo internazionale.

Il centro, oggi dedicato ai bambini con gravi disabilità fisiche e mentali, si chiama “Primavera”, ma da poco ha aggiunto al suo nome “Francesco Maria Cucchi”, per ricordare il sociologo, formatore, amico, scomparso nel 2020 e il suo impegno a far conoscere sia in Italia che all’estero il “Modello Capodarco”.

Il programma di riabilitazione albanese ha seguito sin dall’inizio linee scientifiche di applicazione internazionale, nel tempo è stato specializzato il personale locale (medici, fisioterapisti, infermieri) con stage in Italia e con la presenza in Albania di personale italiano. Nell’ambito di questi scambi, l’équipe del centro albanese formata da Etleva Strati (medico fisiatra), Adela Pupi (logopedista e TNPEE) e Xhuliana Vokrri (fisioterapista), con in carico prevalentemente bambini con patologie neuromotorie, dal 13 al 20 luglio è stata ospite della Comunità di Capodarco di Fermo per un tirocinio formativo coordinato dalla direttrice sanitaria Valentina Koxha che ha visto coinvolti i professionisti di Capodarco riabilitazione. Gli ambiti di interesse sono stati la fisioterapia, la psicomotricità e i disturbi del linguaggio.

«All’inaugurazione del centro dedicato a Cucchi – spiega la fisiatra Strati -, il presidente della comunità don Vinicio Albanesi ci ha proposto di tornare in Italia con questo staff che è piccolo, nuovo e non è mai venuto a Capodarco, quindi non ha mai visto la riabilitazione ma neanche l’aspetto comunitario, per capire cosa vuol dire ‘riabilitazione comunitaria’. Per me è stato un ritorno dopo tanti anni, il mio primo incontro con la comunità risale infatti a 28 anni fa. In questi anni in Albania ci siamo aperti anche alla riabilitazione per adulti e da più di 10 anni seguiamo quella per l’età evolutiva da 0 a 12/13 anni. È stata una settimana intensa in cui abbiamo incontrato diverse realtà: il Montessori di Fermo, le palestre della comunità, quella di Capodarco e quella di Porto San Giorgio, la Comunità San Girolamo di Fermo. Vedere da vicino come altri lavorano nello stesso campo è un’altra cosa. È vedere con altri occhi, da prospettive diverse. Io sono tornata, ma Adela e Xhuliana sono qui per la prima volta, anche se conoscono la comunità di Capodarco da anni, perché durante questo periodo sono stati tanti gli italiani che hanno lavorato a Tirana”.

«Per me è la prima volta, era un sogno, ma vederla da vicino non è solo un sogno è una realtà con i suoi momenti tristi e belli, le cose che non ti aspetti, l’accoglienza, che mi piace tantissimo, soprattutto delle persone con disabilità». Adela Pupi fa un sospiro, dice che forse in albanese sarebbe stato più semplice spiegare questi giorni, ma poi prova con il suo italiano comprensibilissimo: «C’è una vita dentro, una storia lunga, ci sono i misteri – continua -. La cosa che mi piace di più, al di là dei problemi che possono esserci, è che la comunità è gigante, grande, meravigliosa, mai vista prima. Sapevo che Capodarco era una cosa grande, ma non l’immaginavo così. C’è tempo per tutti. In Albania noi non abbiamo un centro residenziale dove le persone possono vivere, fare una lunga strada. Ci sono le Suore di Madre Teresa che hanno case di riposo per gli anziani, ma non è la stessa cosa, non ci sono i giovani. C’è una luce che noi non abbiamo. Mi piace tantissimo anche la figura del ‘don’, tanto, tanto, tanto. Alcune storie qui meritano un film o un libro speciale. Potrei viverci a Capodarco. Un poco di anima la lasciamo qua» .

«Tante emozioni, amicizia e tanta accoglienza, veramente non me l’aspettavo – continua Etleva Strati -. Questi giorni mi hanno aiutato a vedere come siamo cresciute. Quando lavori da solo non sempre sai se fai bene, se fai male, se hai risultati, ma poi quando ti confronti con altri, con le cose concrete, allora riesci a dire a te stesso: ‘sì va bene, continua, perché sei sulla strada giusta’. Anche questo abbiamo appreso. Mi sento professionalmente più matura. Nel nostro Paese abbiamo resistito, nel bene e nel male, con progetti e senza progetti, perché da 10 anni non abbiamo un nuovo progetto, ma ai bambini le terapie non sono mai mancate e questo vuol dire tanto. È vero che siamo un centro diurno, che offriamo solo dei servizi di fisioterapia e terapia dello sviluppo, non facciamo tante cose come prima con i progetti, ma da quello che ho visto, so che abbiamo un buon livello di professionalità».

Etleva ci lascia con un suo personale ricordo di Francesco Cucchi: «E’ stato uno dei nostri collaboratori, uno dei nostri formatori, uno dei nostri insegnanti…non trovo le parole giuste per lui. Ho lavorato tanto con Francesco, in Albania, in Kosovo, sempre insieme». La fisiatra seguiva Cucchi nei suoi incontri di formazione anche per tradurre dall’italiano all’albanese: «Continuo a dire Francesco ‘è’, perché ‘Fra’ esiste ancora. Ricordo la formazione fatta a Tirana, quella in Kossovo, la gita a Kruja, ricordo la sua mano grande sulla mia spalla. Gli abbiamo dedicato il centro da un’idea di don Vinicio Albanesi, nella targa abbiamo inserito proprio le sue simboliche parole: ‘Non vado a lavoro ma vado dai miei ragazzi’. Da lui abbiamo capito cos’è la comunità, come si vive, come si lavora e come comunità è casa. Per me è e sarà vivo per sempre, non mi mancherà – conclude -, perché so molto bene cosa mi ha detto, cosa gli ho detto e so che oggi mi direbbe la stessa cosa».