MONTE URANO – Abbiamo intervistato Francesco Paoli, frontman dei Fleshgod Apocalypse, gruppo musicale symphonic death metal italiano che si esibirà l’11 agosto al Bambù Festival.
Ciao Francesco! Inizio dal chiederti come nascono i Fleshgod Apocalypse.
«La band è nata nel 2007. Dal 2007 al 2010 abbiamo fatto un disco ma non abbiamo suonato granché dal vivo perché tutti noi avevamo altre occupazioni, c’era chi studiava, chi già lavorava, ecc. Nei primi tre anni, quindi, pur essendoci determinazione e aspettative, la band è stata in una fase molto embrionale. Poi nel 2010-2011 abbiamo firmato il primo contratto discografico importante e da lì abbiamo iniziato a fare i tour, partendo praticamente subito con tour europei e tour americani, che poi hanno segnato l’attività della band per tutto il decennio successivo. Abbiamo suonato ovunque, Australia, Giappone, Asia, anche se i palcoscenici principali sono sempre rimasti l’Europa e l’America, e siamo rimasti attivi costantemente fino al Covid. Col Covid, poi, c’è stata un po’ una pausa per tutti, ma per spezzare l’assenza abbiamo fatto comunque uscire un singolo, un live streaming. Abbiamo quindi ripreso subito dopo la pandemia con altri tour e il 23 agosto uscirà il nuovo disco, che verrà subito supportato da tour che sono stati già annunciati e, come al solito, partiremo dall’America. Ecco, quindi, quella che è la nostra storia discografica. A oggi abbiamo 6 dischi all’attivo, compreso questo che uscirà ad agosto, più un EP, e abbiamo suonato tra le 1500 e le 2000 date».
Qual è, secondo te, il segreto del vostro successo? Cos’è che vi ha reso così popolari, soprattutto a livello internazionale?
«Probabilmente il fatto che la musica che proponiamo è senza dubbio particolare, per certi versi unica, e l’elemento che la rende unica, cioè l’aspetto sinfonico, operistico e teatrale della band, della proposta musicale, in realtà è consolidato dal fatto che siamo italiani: la musica sinfonica e operistica è parte della nostra eredità culturale ed artistica, e ne siamo inevitabilmente influenzati. Questo aspetto, a livello internazionale, viene riconosciuto come qualcosa di speciale, di particolare, di unico».
C’è un modello in particolare che seguite, una band, una fonte di ispirazione musicale?
«Nel metal tutto, nel senso che siamo grandi fan di tutto il metal. Forse un’altra particolarità della band è proprio il fatto che non c’è un genere, o un sottogenere, in cui i Fleshgod possano essere inquadrati: diciamo che tendenzialmente noi del metal abbiamo scelto la versione più estrema, proprio perché era quella che si sposava meglio ma anche che creava maggiori dinamiche con l’aspetto melodico e sinfonico. Questi sono altri due elementi fortissimi, e la nostra abilità è metterli in equilibrio; quindi, abbiamo scelto dalla parte del metal il sottogenere più estremo, più energico, e dall’altra parte l’abbiamo in qualche modo bilanciato con gli arrangiamenti orchestrali, ispirati dalla musica sinfonica, dal cinema, dall’opera e dalla musica classica tipicamente italiana».
Il concerto o l’esibizione che ricordate con maggior piacere e perché?
«All’estero, sicuramente, i festival europei importanti come Wacken oppure concerti importanti come Los Angeles o New York in cui abbiamo fatto dei sold out e che sono stati estremamente gratificanti, sia dal punto di vista della performance che dal punto di vista del feedback del pubblico. In Italia abbiamo fatto tanti concerti, abbiamo suonato al Metal Italia che è un festival fighissimo, abbiamo suonato con i Pantera, sebbene alle 2 del pomeriggio fosse caldissimo a Bologna, ma è stata un’esperienza straordinaria supportare una band così iconica che ha rappresentato così tanto per noi che, da giovani, ne eravamo fan».
Prospettive, progetti per il futuro?
«Le Olimpiadi Invernali, ovviamente (ride, ndr), sono la prima cosa che faremo, e c’è già una petizione partita dopo l’esibizione dei Gojira a Parigi. E non penso che i Gojira abbiano dato allo sport tanto quanto io ho dato alla montagna; quindi, penso che mi aspetti di diritto. A parte gli scherzi, sarebbe davvero straordinario, significherebbe molto perché, come dicevo in precedenza, è complicato sia per i media che per la comunità tutta a livello culturale accettare dei generi un po’ fuori dagli schemi, meno mainstream. L’esibizione di Parigi ha dimostrato che qualcosa che è estremo può diventare assolutamente mainstream se ben fatto. E quindi non vedo ragioni per cui escludere la possibilità di una candidatura di una band come i Fleshgod o di qualsiasi altra band metal italiana – no, scherzo, se ci andasse un’altra band italiana rosicherei! -. Ecco quindi sì, prossimo progetto le Olimpiadi invernali di Cortina».
Ultimissima domanda, cosa vi aspettate dall’esibizione al Bambù Festival? Qualche anticipazione sul live che farete?
«Ci aspettiamo di fare un live a casa, un live assolutamente relaxed perché questa è, per noi, casa: noi tutti viviamo a due ore massimo da Fermo e da Monte Urano, io ho un sacco di amici lì che verranno e che hanno condiviso con me tante esperienze sui Sibillini, i vostri monti che sono un po’ anche i nostri. Ci aspettiamo quindi la sensazione di tranquillità che si ha a casa, anche se quello che porteremo ovviamente è, come al solito, uno show energico. Porteremo un pezzo nuovo, dal nuovo disco, e porteremo tutto quello che possiamo per lasciare un ricordo indelebile per i fan».